Libia, venti di guerra: la prima parola tocca alla diplomazia

Libia, venti di guerra: la prima parola tocca alla diplomazia

L’assemblea regionale dei soci ha eletto a maggioranza il presidente dell’Arci alla guida dell’associazione che riunisce il mondo dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione sociale. 
 In queste ore sull’Europa e sul Mediterraneo soffiano pericolosi venti di guerra. La situazione drammatica che si è venuta a determinare in Libia rischia di coinvolgere tutta l’area del Mediterraneo, peraltro già teatro di molti e terribili conflitti.”Siamo convinti” dice una nota di Arci “che non potrà essere un nuovo intervento militare a riportare la pace in Libia e la stabilità nel Mediterraneo.”Continua la nota “Le recenti esperienze, in primo luogo proprio quella in Libia nel 2011, hanno dimostrato che la guerra aumenta l’instabilità e allontana le soluzioni, oltre che provocare morti e ingiustizie. Tuttavia, fermare le violenze e l’orrore fondamentalista è compito non rinviabile della comunità internazionale, che ha gli strumenti per farlo, se c’è la volontà politica di utilizzarli. L’Europa e l’Occidente tutto non possono sconfiggere il terrorismo e le mire espansionistiche dell’IS con un nuovo conflitto e con una soluzione repressiva. Avrebbe senso una missione di ‘peacekeeping’ sotto l’egida delle Nazioni Unite, fondata su un accordo da raggiungere e su cui vigilare. Una missione che parta dal dialogo e dalla ricomposizione della società civile, che coinvolga tutte le comunità libiche e che abbia tra gli obiettivi anche quello di mettere in discussione le royalties del petrolio, che deve diventare una forma di ricchezza per tutte le comunità e non una condanna per il paese”.”Si apre, insomma, anche per l’Italia, di dare fiato a un lavoro, seppur difficilissimo, di diplomazia internazionale. E pensiamo sia ancora possibile ridare forza e legittimità alle Nazioni Unite. In questo quadro complesso ci si presenta un’emergenza umanitaria che rischia di coinvolgere centinaia di migliaia di persone in fuga da Siria, Afghanistan, Iraq ed Eritrea. Bisogna ricordarsi e ricordare alla comunità internazionale che chi soffre di più, le principali vittime di questa crisi, sono coloro che subiscono il giogo delle violenze e delle persecuzioni. Famiglie, uomini, donne costrette a fuggire, di cui l’Europa deve farsi carico e non rispondere con le bombe e i respingimenti, come pretenderebbe qualche predicatore d’odio come Salvini.””Pensiamo – dice ancora la nota – “che sia indispensabile e urgente riattivare l’operazione Mare Nostrum e allo stesso tempo aprire, ricorrendo all’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), canali umanitari con i paesi confinanti con la Libia. Mare Nostrum, a differenza di Triton, era dotata di strumenti e personale per soccorrere i profughi, evitando ricatti armati dei trafficanti, come quello che si è verificato nei giorni scorsi”.Conclude la nota “Due interventi, Mare Nostrum e canali d’ingresso umanitari, che possono e debbono essere promossi e sostenuti dall’Unione Europea e dalla comunità internazionale tutta, prevedendo un sostegno ai principali paesi confinanti con la Libia, in primo luogo Egitto e Tunisia, che saranno senz’altro coinvolti nella gestione dei flussi di profughi e che corrono il rischio di un’estensione dell’intervento di Is nel loro territorio”.

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