Youth spring across ethnicities

Youth spring across ethnicities

La Rete della Pace ha inviato una lettera ai Parlamentari Italiani per chiedere di firmare e sostenere la risoluzione del gruppo Interparlamentari per la Pace per il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Italia. 
 EKAR dice: «Ho lasciato tutto e sono scappato in macchina». I vilaggi intorno erano già nelle mani dei miliziani dell’Is nell’area di Mosul. Ha lasciato, la casa, i vestiti, le fotografie, il computer, tutte le cose che una vita si porta appresso: «Sono scappato soltanto con i vestiti che avevo addosso». Lekar, 24 anni, è cristiano. Faceva l’aiuto infermiere. Nei primi giorni di agosto, in Iraq si è messo in cammino. «Anche io ho lasciato tutto e sono andato verso le montagne, prima in macchina poi ci hanno fermato»Racconta Husam, 27 anni, della minoranza yazida. «Mio fratello è tornato indietro, in città, io ho cominciato a camminare in montagna, di giorno, di notte, volevo soltanto allontanarmi, mettermi in salvo. Ho incontrato altre cinquecento persone che camminavano nella mi a stessa direzione». Voci dal pozzo più profondo della geografia contemporanea, l’area delle città irachene che cadono nelle mani del califfato, nell’oscurantismo delle gole tagliate, delle donne rapite e violentate, delle conversioni religiose obbligate.Vengono da quei posti i quattro giovani iracheni che trascorreranno una settimana inToscana, tra Firenze e Pisa, per partecipare al progetto dell’Arci che va sotto il titolo di «Youth spring across ethnicities», un piano per creare in Iraq cinque centri giovanili «che abbiano tra le loro priorità l’inclusione di giovani appartenenti alle diverse minoranze religiose».Sono scappati dal medioevo del califfato: «Abbiamo raggiunto Erbil (nel Kurdistan iracheno) e lì c’era gente ovunque, abbiamo dormito all’aperto, nei giardini, senza avere più niente» riprendeHusam. «Si muore in quelle strade delle malattie più varie, non c’è igiene, manca tutto». Uomini in fuga, in cammino per giorni con le ombre della paura, braccati, gente che ha perso i contatti con amici e parenti rimasti indietro. «Io sono pacifista» dice Lekar e quella parola fa rumore nella stanza dell’Arci in piazza dei Ciompi. E’ la parola che non ti aspetti da chi esce da uno scenario di violenza. Eppure: «Non è la prima volta che le minoranze vengono colpite, torneremo nelle nostre case, dove abbiamo le nostre radici».In poche ore di volo sono passati nel mondo occidentale: «Quello che mi ha colpito nel venire in Italia-interviene Salar, 41 anni, curdo – è vedere come qui ci sia rispetto per le varie identità e come si possa vivere in pace proprio nel rispetto reciproco». Per questo Salar tornerà ad Erbil, lui e gli altri quattro- fra questi anche Shoresh, 28 anni di origine curda – per provare a parlare di pace e di non violenza, «per provare a costruire una rete di associazioni».Una sfida enorme: «Eppure in Iraq c’è un movimento pacifista che si fa strada» riferisce Carla Cocilova responsabile delle attività internazionali dell’Arci Toscana. Questi quattro giovani sono soltanto la punta di un iceberg. «Dovevano essere cinque – spiegano all’Arci – ma Ayad musulmano sunnita è stato bloccato all’aeroporto, non gli hanno permesso di partire». Sette giorni in occidente, sette giorni per partecipare a questo progetto.Quattro ragazzi sono in città per un programma dell’Arci: “Torneremo a Erbil per parlare di pace”- progetto realizzato con il supporto dell’Unione dei Comuni della Valdera, ‘Un Ponte per…’, la Tavola della Pace della Valdera, Provincia e Comune di Pisa.E’ così vicino il pozzo dell’intolleranza («Ma le forze occidentali che hanno invaso l’Iraq hanno fatto i loro interessi e noi siamo le vittime di questaviolenzapolitica»), sono cos ìsconcertati gli sguardi di questi giovani nel guardarsi intorno a Firenze: uno è rimasto colpito dall’arte, dalle statue.«Se vincesse l’Is le statue verrebbero distrutte subito» dice e un altro aggiunge: «Mi stupisce vedere delle coppie camminare per strada, mi scopro a guardarle con curiosità. Da noi non c’è parità di genere, le donne vengono maltrattate, sono subordinate… il viaggio in occidente ci servirà a riflettere anche su questo».

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