Sabra e Chatila: 30 anni senza giustizia
La situazione del popolo siriano si fa di giorno in giorno più drammatica. La comunità internazionale è chiamata a intervenire con urgenza e contemporaneamente su due fronti: emergenza umanitaria e far tacere le armi.
I Campi profughi di Sabra e Chatila sono quasi gli stessi di trent’anni fa e poca parte dell’opinione pubblica internazionale conserva memoria di quei tragici eventi. I due campi, adiacenti, sono abitati attualmente da 17mila persone, che vivono stipate in poco più di un chilometro quadrato. Sabra e Chatila si sommano ad altri 10 campi profughi in Libano e a quelli presenti in Siria, Giordania e Cisgiordania in cui vivono più di 4 milioni di persone. Quelli libanesi sono i campi in cui le condizioni di vita sono le peggiori, dove i palestinesi non hanno quasi nessun diritto civile e non hanno accesso a ben 72 professioni.In questi giorni, anche il flusso di profughi che fuggono dalla Siria trovano principalmente rifugio all’interno dei campi profughi determinando un ulteriore sovraffollamento e peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie.Secondo la risoluzione 194/48 dell’ONU, i palestinesi che sono stati costretti ad abbandonare i propri villaggi nel ’48 a causa dell’occupazione israeliana, hanno diritto a fare ritorno alle proprie case e alle proprie terre, ma ancora oggi vivono in campi profughi, derubati del proprio passato. Il diritto al ritorno dei profughi palestinesi è stato il principale ostacolo a qualsiasi processo di pace sia stato istituito in passato. In occasione di questo trentesimo anniversario vogliamo che il massacro di Sabra e Chatila non sia dimenticato, e che la comunità internazionale si faccia finalmente carico di questo crimine e trovi gli strumenti per giudicare e condannare i colpevoli. Così come non vogliamo dimenticare che ancora oggi milioni di palestinesi vivono lo status di rifugiati da una generazione all’altra, nella totale assenza di ogni forma di diritto.