Ripartiamo da “Non una di meno”, un successo nonostante media e politica

Ripartiamo da “Non una di meno”, un successo nonostante media e politica

 Per il nostro Paese, non è la prima volta che capita. È già accaduto in altre occasioni. L’agenda della politica e quella dei media propongono priorità e offrono rappresentazioni la cui corrispondenza alla realtà, all’improvviso, viene messa fortemente in dubbio, viene superata, quasi spazzata via da eventi che si verificano e che per la forza si qualificano come veri e propri fatti politici e sociali.Per quanto riguarda la mia esperienza, nella fase più recente, è capitato in più di qualche occasione: per le mobilitazioni per la pace (la marcia Perugia-Assisi di qualche settimana fa), per le centinaia di migliaia di firme raccolte per la campagna che chiede la cittadinanza italiana per le ragazze e i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, per le tante manifestazioni a difesa del territorio, per le manifestazioni contro le mafie nei singoli paesi e città.Ed è capitato sabato scorso, quando per le strade di Roma tantissime donne, e tanti uomini, si sono riunite, chiamate dall’appello per la manifestazione “Non una di meno”, contro la piaga del femminicidio e della violenza sulle donne.Un fatto politico importante, che d’un tratto, e per un momento, ha sollevato la cappa di una lunghissima, estenuante campagna referendaria, che occupa da mesi il dibattito pubblico tra le forze politiche e riempie i giornali.”Non una di meno” è stata una manifestazione che ha mostrato di avere una forza propria. La chiamata in piazza, infatti, è avvenuta al di fuori dei circuiti tradizionali della politica. Assente è stato l’apporto di partiti e grandi media. L’organizzazione, forse, era poco curata. Ma nonostante tutto ciò, oltre 100mila persone, per la maggioranza donne, e di tutte le generazioni, hanno voluto essere lì. Nulla ha fatto sentire la mancanza di “preparazione” e di “ordine”, né per un solo momento si è temuto che potessero esserci tensioni.Espressioni collettive di questo tipo divengono possibili quando le questioni al centro di una mobilitazione sono sentite profondamente e toccano nervi scoperti che attraversano la società italiana, quando le ragioni di una mobilitazione esprimono una soggettività politica fortissima.E oggi, a distanza di due giorni, c’è come la sensazione che l’effetto “neutralizzazione” che potrebbe essere generato dalla scarsa visibilità mediatica e dalle distrazioni della politica non sarà in grado alla lunga di insabbiare ragioni e rivendicazioni.Questa forza dovrebbe farci riflettere. Ci parla di ricostruzione etica e valoriale, mentre il Paese è quasi costretto a dividersi ed è schiacciato su una discussione che riguarda spesso solo ed esclusivamente il potere.Stupisce, questo sì, che la politica non pensi e non senta il dovere di dare una risposta, come se non si sentisse chiamata profondamente in causa. Il femminicidio non è qualcosa che cade dal cielo, è il sintomo di una deviazione profonda e visibile, ogni giorno di più, dalla cultura dei diritti e dell’uguaglianza a cui si deve reagire con una cultura democratica, rispettosa delle libertà, con servizi all’altezza dei bisogni e con istituzioni – centrali e locali – presenti.E non è un caso che a provare a ricostruire siano quasi sempre le donne, in Polonia come in Turchia, come in Kurdistan: per loro il cammino da fare è ancora tanto e non si è mai interrotto. Non una di meno conferma che anche in Italia la cultura e la forza delle donne rappresenta un giacimento prezioso di energie trasversali per rinnovare politica e istituzioni.

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